La Lettera di risposta di REMARC a Lucia Morselli
Il 14 Maggio la dott.ssa Lucia Morselli, amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia S.p.A., è stata ospite del ciclo di incontri “Meeting Generation” organizzato da ALAP – l’Associazione dei Laureati dell’Università di Pisa e dall’associazione Starting Finance UniPi. Il suo intervento ha toccato temi di grande rilievanza, come il cambiamento climatico, la transizione green e più in particolare la sostenibilità ambientale e sociale nel settore dell’acciaio.
La dott.ssa Morselli, che ha una laurea in matematica, ha sostenuto che il linguaggio dei numeri è il linguaggio della verità. Alcune delle sue affermazioni, purtroppo, non sono linea con questo linguaggio. Nel corso dell’intervento ha affermato che “il più grande emettitore di CO2 siamo noi, umani ed animali” (min. 55), che il “problema del CO2 è nato perché siamo troppi” (min. 56), e ancora che i “cambiamenti climatici sono influenzati anche dalle interferenze cosmiche” (min. 1.02). Sono argomenti non supportati da numeri e spesso usati per minimizzare il problema del cambiamento climatico e il ruolo che la produzione industriale – inclusa quella del settore siderurgico (che contribuisce a circa il 7% delle emissioni globali di CO2) – ha nel determinare i processi di cambiamento climatico. Sappiamo anche che circa il 10% della popolazione più ricca a livello mondiale è responsabile di più della metà della crescita delle emissioni clima-alteranti nel periodo 1990-2015. Questi dati suggeriscono come il problema della sovrappolazione sia marginale rispetto al fatto che una quota relativamente piccola della popolazione mondiale abbia sfruttato la gran parte delle risorse naturali disponibili sul pianeta.
La dott.ssa Morselli ha anche affermato – richiamando argomenti utilizzati dalla difesa al cosiddetto “processo ILVA” – che “la qualità dell’aria di Taranto è venti volte migliore di quella di Milano” (min. 54). I dati ISPRA 2019 effettivamente documentano che Milano ha valori di PM 10, PM 2.5, NO2, O3 superiori a quelli di Taranto, ma non di “venti volte” (per esempio, secondo i dati ISPRA le emmissioni medie di PM 10 di Taranto sono circa un terzo, non un ventesimo, di quelle di Milano, mentre quelle di PM 2.5 sono circa la metà). L’inquinamento ambientale a Taranto legato alle emissioni di benzoapirene e altri inquinanti è ampiamente documentato da numerose perizie come quelle realizzata nel 2012 dagli esperti dell’associazione italiana di epidemiologia su richiesta del gip Patrizia Todisco processo ILVA. Uno dei periti, il professor Annibale Biggeri dell’Università di Firenze, in una intervista dichiarava che “uno degli avvocati dell’ Ilva ha argomentato che i livelli di pm10 di Taranto sono inferiori a quelli delle grandi città del nord. Argomentazione che si sgonfia se si valutano le rilevazioni nel quartiere Tamburi. Ci si può girare intorno se si vuole, ma l’ attuale situazione di quegli impianti non è compatibile con la salute della gente“. Negli ultimi anni è anche cresciuta la letteratura scientifica che dimostra il nesso causale tra l’esposizione agli inquinanti PM 10 e l’eccesso di mortalità della popolazione residente a Taranto. Minimizzare questa evidenza significa non rispettare i cittadini e le cittadine della città di Taranto, che sono tra i principali stakeholder di Acciaierie d’Italia S.p.A.
Al di là delle inesattezze, le affermazioni della dott.sa Morselli possono essere discusse alla luce delle più recente letteratura scientifica in campo economico e manageriale. L’amministratrice di Acciaierie d’Italia S.p.A. afferma che la strategia dell’ex-Ilva è quella di “produrre acciaio”. Ma occorre riconoscere che esistono diversi modi per farlo. I modelli di business orientati unicamente alla massimizzazione del profitto, spesso richiamati dalla dott.ssa Morselli, sono oramai superati. La letteratura scientifica mostra come le imprese che non rispettano i propri stakeholder – i diritti dei lavoratori, la salute delle comunità – tendono a distruggere valore economico nel lungo periodo (per esempio si veda questo lavoro di William Lazonick), e la storia dell’Ilva di Taranto ne è certamente un esempio. Spinti da questa evidenza, la letteratura scientifica documenta un progressivo cambiamento di paradigma a favore di un modello di capitalismo orientato agli stakeholder, nell’ambito del quale è prioritario minimizzare l’estrazione di valore (lo sfruttamento) delle risorse e dei soggetti più vulnerabili e con minor potere. Nel suo libro Reimagining Capitalism (2019), la professoressa Rebecca Henderson dell’Harvard Business School afferma che ancora: “molti manager sono persuasi dall’idea che se non massimizzano i profitti per gli azionisti, non solo tradiscono loro patto fiduciario, ma rischiano di perdere il lavoro” e riconosce che “ciò ha creato un sistema in cui molte delle imprese globali pensano che non sia un loro dovere morale quello di occuparsi del bene pubblico.” Ma questa mentalità, afferma la Henderson, “sta cambiando molto velocemente …anche perché i millennials vogliono lavorare in imprese sostenibili dal punto di vista socio-ambientale”. Le nuove generazioni, gli studenti e le studentesse che formiamo, hanno aspettative diverse rispetto alle generazioni passate, le quali fanno ancora fatica ad abbandonare i vecchi schemi mentali secondo i quali l’etica, l’ambiente, ed il rispetto dei diritti vengono presi sul serio solo se generano profitto di breve periodo. La letteratura scientifica in campo manageriale suggerisce che sia importante oggi dare ai futuri manager e leader d’azienda nuovi strumenti per gestire i paradossi della sostenibilità, il che significa aiutarli ad imparare a produrre valore economico senza sacrificare l’ambiente o violare i diritti umani. Significa anche, come suggerito di recente da Anita McGhan, tra le più importanti studiose a livello mondiale di strategia d’impresa, riuscire a combinare la gestione degli stakeholder con quella delle risorse strategiche dell’impresa, per cui gli stakeholder non sono considerabili come un problema a parte, ma come il fulcro della strategia d’impresa.
Del resto, la ricerca accademica ed i recenti sviluppi normativi in materia di impresa e diritti umani sono concordi nel ritenere che sia oramai ineludibile un cambio di paradigma, e di recente il Parlamento Europeo ha predisposto una proposta di legge, influenzata dai Principi Guida su Impresa e Diritti Umani, promossi dalle Nazioni Unite nel 2011, che richiederà alle imprese degli Stati Membri di condurre la cosiddetta due diligence ambientale e sui diritti umani, uno strumento per prevedere i potenziali impatti avversi su società e ambiente dell’attività di impresa, predisporre un piano per evitarli o minimizzarli ed adottare meccanismi di reclamo attraverso i quali le vittime degli abusi e la società civile possano essere consultate e in ultima istanza compensate anche extra-giudizialmente per il danno subito.
Infine, ci auguriamo che i manager di grande successo sappiano imparare dalla ricerca recente in materia di impresa, economia e sviluppo sostenibile e ne facciano uso anche e soprattutto quando dovranno usare le risorse del Recovery Fund. Per noi, a differenza di quanto affermato da Morselli, la pandemia non è stata “l’igiene economica del mondo” ma una tragedia dei più poveri. Il Recovery Fund sarà una risorsa solo se sapremo indirizzarla nelle giuste direzioni.
I docenti e ricercatori di REMARC – Responsible Management Research Center
Pisa 21 5 2021